Morte delle città

In tre modi muoiono le città.

Quando le distrugge un nemico spietato. Quando un popolo straniero vi si insedia con la forza, scacciando gli autoctoni e i loro dei. Oppure quando gli abitanti perdono la memoria di sé, e senza nemmeno accorgersene diventano stranieri a loro stessi.

(Salavatore Settis – Se Venezia muore)

Socrate e la morte

Consideriamo anche che vi è una grande speranza che ciò sia un bene. Poiché l’essere morti è una delle due cose: o è come non essere più nulla e non avere alcuna percezione di nessuna cosa o, come si dice, è un mutamento e una migrazione per l’anima dal luogo terreno ad un altro luogo. E se in essa non vi fosse alcuna percezione, ma fosse come un sonno senza sogni, la morte costituirebbe unostraordinario vantaggio. Infatti io penso che se uno dovesse, dopo avere scelto quella notte in cui ha dormito così profondamente da non fare sogni, e dopo aver messo a confronto le altre notti e i giorni della sua vita con questa notte, dovesse, dopo avervi riflettuto, dire quanti giorni e quante notti ha vissuto in modo migliore e più piacevole di questa notte nella sua vita, penso che, non dico un cittadino qualunque, bensì il grande re ne annovererebbe pochi in confronto agli altri giorni e alle altre notti – se dunque la morte è tale, io affermo che è un guadagno: ed infatti tutto il tempo non è nulla di più che un’unica eterna notte.

Se, invero, la morte è come trasferirsi da qui in un altro luogo e ciò che si dice fosse conforme a verità, ossia che là hanno dimora tutti i morti, allora quale bene sarebbe più grande di questo, o giudici? Se, infatti, uno recatosi nell’Ade, liberatosi da costoro che affermano di essere giudici, troverà coloro che sono veramente giudici, che si dice che là rivestano questa funzione, Minosse e Radamanto ed Eaco e Trittolemo ed altri quanti fra i semidei furono giusti nella loro stessa vita, forse la dipartita sarebbe terribile? Ovvero a che prezzo qualcuno di voi accetterebbe di accompagnarsi ad Orfeo e a Museo e a Esiodo e a Omero?

Infatti io sono pronto a giacere morto più volte se tutto questo risponde a verità. Quanto a me in particolare, sembrerebbe straordinaria la conversazione là, qualora mi imbattessi in Palamede e in Aiace Telamonio e in qualsiasi altro fra gli antichi sia morto per una sentenza ingiusta, poiché potrei mettere a confronto i miei casi con i loro – come io penso, non sarebbe spiacevole – ed invero straordinario sarebbe passare il tempo interrogando gli uomini di là come faccio sulla terra ed esaminando chi di loro è saggio e chi pensa di esserlo, ma in verità non lo è.

A che prezzo uno, o giudici, acconsentirebbe ad esaminare colui che condusse a Troia il grande esercito ovvero Odisseo e Sisifo o tutti quelli che uno potrebbe elencare e uomini e donne con cui il dialogare là e il frequentarli e l’esaminarli sarebbe una felicità incommensurabile? E poi certo i giudici di là non condannano a morte per questo; infatti, tra le altre cose per cui essi sono più beati degli esseri terreni, vi è il fatto che essi per il tempo a venire sono immortali, se pure è vero ciò che si dice.

(Dall’Apologia di Socrate scritta da Platone)